Overtourism a Venezia

Prima che scoppiasse la pandemia, erano già parecchi i luoghi colpiti dal fenomeno dell’overtourism, l’eccesso di visitatori che rende un posto difficile da visitare e da godere. Per circa tre anni non eravamo più abituati a stare in mezzo alla folla ma – ora che la paura del Covid (19) sembra tramontata – i turisti sono tornati a riversarsi in massa in alcune località.

Si è osservato in occasione del primo ponte dell’anno, quello delle vacanze di Pasqua, quando migliaia di turisti hanno riempito i piccoli borghi delle Cinque Terre, si sono ammassati alle stazioni ferroviarie dei trenini che collegano Manarola, Vernazza, Monterosso e Corniglia e ne hanno affollato i vicoletti. Stessa situazione nelle città d’arte, da Venezia a Firenze per molti è stato incubo. E lo è anche per gli abitanti, che di turismo non vivono, ma che ne devono pagare le conseguenze.

Possibili soluzioni

Certo non era meglio prima, ma ora è evidente a tutti quanto sia necessario trovare un modo per contenere i flussi. C’è chi pensa a un ticket d’ingresso come ha fatto da tempo il Comune di Venezia per disincentivare la grande massa ad andare in un luogo o a un numero chiuso con tanto di preregistrazione online, come accade su molte spiagge della Sardegna. In entrambi i casi, c’è chi storce il naso perché tutti hanno diritto di muoversi liberamente senza sentirsi rifiutati e quindi con un effetto controproducente per i Comuni.

C’è chi chiede a gran voce una legge speciale per frenare l’overtourism, tornato in maniera prepotente nel weekend pasquale e che potrebbe ripresentarsi in occasione dei prossimi ponti (25 aprile, 1° maggio, 2 giugno), quando la bella stagione invoglierà molti a mettersi, giustamente, in viaggio. A Portofino, per esempio, saranno istituite due zone rosse per i pedoni, nelle quali sarà proibito stazionare se non scattare una foto velocemente, pena una multa salata (fino a 275 euro).

Il punto di vista delle istituzioni

Sul campo è scesa il ministro del turismo – Daniela Santanché – che ha dichiarato di voler risolvere la questione senza alcun numero chiuso, proponendo di alzare i prezzi per alcuni beni culturali e musei facendo così una selezione sulla base delle disponibilità economiche. In un’intervista rilasciata al Messaggero avrebbe spiegato che «L’overtourism è un problema globale e le persone che si muovono stanno aumentando in maniera esponenziale. Le località da visitare in Europa sono più o meno sempre le stesse. Penso alle città d’arte, a Roma, Venezia, Firenze, ma non solo. Si è sempre pensato al numero di teste per dare i dati del turismo, oggi dobbiamo pensare invece alla spesa media di ogni visitatore. E su questo i nostri numeri sono più bassi di altri Paesi europei. Ecco perché dico che bisogna alzare l’asticella, lo standard dei servizi. Personalmente non trovo che il numero chiuso possa essere una soluzione per salvaguardare le città d’arte mentre è giusto quello che sta facendo il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che sta alzando i prezzi per alcuni beni culturali e musei. Non può essere che la Torre di Pisa costi meno della Tour Eiffel o che gli Uffizi costino meno del Louvre, vista anche la voglia che c’è di Italia».

Per discutere di overtourism e di turismo sostenibile si è tenuto di recente un vertice in Albania in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale del Turismo, dove si sono incontrati i delegati di 40 Paesi, tra cui l’Italia con la nostra Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT) e capire come migliorare l’impatto dei flussi turistici. Tra le ipotesi, un contingentamento dei flussi attraverso la valorizzazione di aree meno note e al potenziamento delle infrastrutture.

I primi interventi

L’intera provincia di Bolzano, che comprende tutto l’Alto Adige, si è determinata ad applicare il numero chiuso: lo ha annunciato l’assessore della provincia autonoma, Arnold Schuler, introducendo un limite massimo di pernottamenti fissato in 34 milioni, che equivale al numero di presenza turistiche registrate in Alto Adige nel 2019. Per l’assessore questa decisione rappresenta una svolta unica in Italia e forse in tutta Europa.

Un problema globale

Ma il problema non è solo in Italia. Prima della pandemia avevano chiuso al turismo alcuni luoghi simbolo in tutto il mondo. Basti pensate alla celebre Maya Bay, la spiaggia della Thailandia dove è stato girato il film con Lonardo Di Caprio “The Beach” sulla quale, a un certo punto, si era arrivati a contare milioni di persone che vi si riversavano. O all’isola di Komodo, uno dei luoghi più caratteristici dell’Indonesia che accoglieva migliaia di turisti ogni anno. Nel 2020, grazie a un provvedimento emanato dal governo indonesiano, il sito era stato al pubblico per tutelare il famoso varano, il “drago” di Komodo.
O ancora, Uluru (Ayers Rock) in Australia, il monolite di arenaria dal caratteristico colore rosso che spunta nel deserto, considerato un luogo sacro per la popolazione aborigena e che ha vietato ai turisti di scalarlo come erano soliti fare prima.

Per tornare in Italia, in Lago di Braies, divenuto famoso per essere stato il set di una seguitissima fiction Tv, che d’estate è accessibile a un numero limitato auto e che ha organizzato, da qualche anno, un servizio di navette.
Potrebbe essere quest’ultima la soluzione migliore, offrendo un servizio comodo e puntuale per consentire a tutti di godere di un luogo?

Ceschin (SIMTUR): «Necessarie misure non soltanto giuste ma convenienti»

E’ intervenuto nel dibattito anche Federico Massimo Ceschin, presidente SIMTUR e ambasciatore europeo del Patto per il Clima, che dai primi anni Novanta si batte per una maggiore attenzione a criteri di sostenibilità nel turismo: «Da decenni conosciamo la strada giusta da seguire affinché il turismo possa davvero essere un nutrimento per i luoghi e per le persone, ma difficilmente si è riusciti a rendere i modelli di sviluppo convenienti per tutti, viaggiatori e comunità locali: ora la sfida è accentuata dalla necessità di perseguire gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici ma – soprattutto – è resa affrontabile grazie alla transizione digitale, che offre strumenti innovativi di misurazione, accessibilità e fruizione, senza che i limiti appaiano discriminanti per chi viaggia o punitivi per chi ospita. Si tratta, in altre parole, di procedere ad una maggiore integrazione dei prodotti turistici lungo una “filiera corta dell’accoglienza“, tutta da digitalizzare, riuscendo nel contempo a raccogliere l’invito delle Nazioni Unite a valorizzare i territori meno celebrati dai cataloghi patinati dell’offerta turistica. Oggi ciò che sappiamo essere “giusto” può finalmente diventare “conveniente”».

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