Federico Massimo Ceschin

Tutto pronto per la terza edizione di All Routes lead to Rome, a Roma dal 16 al 25 novembre, anche evento ufficiale dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Co.Mo.Do. è fra gli Enti patrocinatori. Conversiamo con il prof. Federico Massimo Ceschin, Segretario Generale di “Cammini d’Europa”, ente ideatore e organizzatore.

Professor Ceschin, nelle vostre intenzioni All Routes lead to Rome è un vero e proprio Meeting, dove le idee diventano realtà grazie all’incontro tra le persone e alle connessioni tra le idee.
Sì, ci piace pensare che l’evento non sia soltanto un appuntamento annuale, dove insieme tiriamo le fila delle tante straordinarie eccellenze che si incontrano quotidianamente lungo i cammini e le ciclovie del Bel Paese: lavoriamo per realizzare una piattaforma fortemente inclusiva, un laboratorio sempre aperto a persone positive, curiose e sensibili, ricercatrici di bellezza, con lo sguardo orientato al futuro, a iniziare dal prossimo passo…

La mobilità dolce (a piedi, in bicicletta, a cavallo, in barca a vela e con altre modalità naturali) tanto cara a Co.Mo.Do. è una esperienza sempre più praticata e non una moda. Vuole essere un modo di sentirsi e di essere, nel viaggio e oltre il viaggio. Cosa dobbiamo fare ancora di più per conquistare la mobilità dolce e consapevole?
Siamo di fronte ad un cambio di paradigma. Finita l’era delle ideologie, tramontato l’ambientalismo vissuto come allarmista negli scorsi decenni, oggi è molto diffusa la consapevolezza della limitatezza delle risorse e del valore del paesaggio, della dimensione dolce dell’entroterra, dell’importanza di sentirci comunità. Pensando agli italiani di domani, credo riceveranno un’eredità complessa da vivere e da gestire, ma la nostra centralità tra Europa e Mediterraneo, così come la pluralità delle diversità dei nostri territori sono e saranno inesauribili riserve di valore, non certo delocalizzabili. La mobilità dolce è un filo conduttore, una narrazione affascinante, un’esperienza immersiva e – su tutto – è portatrice di un messaggio importante: il nostro Paese può ritrovare equilibrio e speranza nel futuro se saprà custodire il creato, valorizzare il patrimonio e restituire centralità alla persona.

Il “Libro bianco degli Itinerari e della mobilità sostenibile” scritto da Lei con Simone Bozzato e Gaia Ferrara è un manuale per amministratori e operatori. Il cuore della pubblicazione è il PIGI (Piano Integrato di Gestione dell’Itinerario). Cosa si intende per PIGI e quanto è necessario poterlo applicare per sviluppare nei territori un turismo produttivo di eccellenza?
È di fondamentale importanza. Dobbiamo lavorare, tutti insieme, per sottrarci allo spontaneismo e alla rendita di posizione: due fattori che hanno contraddistinto negativamente fino ad oggi la pianificazione territoriale, la gestione dei beni culturali e le politiche turistiche, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. È infatti evidente come il Bel Paese non sia riuscito a raggiungere la consapevolezza della necessità di un approccio olistico, integrato, realizzando una visione unitaria per settori rilevanti per dimensione e strategici per opportunità: clima, paesaggi, arte, cultura, storia, manifattura artigianale, enogastronomia, sono tutti ingredienti di eccellenza che costituivano la motivazione di viaggio in Italia al tempo del Grand Tour ma sono ancora i fattori per cui rimaniamo la meta preferita di viaggio per la grande maggioranza delle persone di tutto il mondo. Ciascun fattore è scarsamente competitivo nei nuovi scenari globalizzati, se pensato nella propria dimensione singolare, ma l’integrazione per filiere orizzontali – connesse ai brand territoriali – potrebbe costituire l’ossatura di un’offerta unica e straordinaria, facile da riconoscere, semplice da acquistare e comoda da fruire. Il modello del PIGI (Piano Integrato di Gestione dell’Itinerario) va nella direzione di garantire alle regioni e ai territori un cruscotto operativo con le leve da agire per pianificare, progettare, implementare, animare e promuovere aree e comprensori attraverso la mobilità lenta, ripartendo dal genius loci. E realizzare nuove opportunità di sviluppo sostenibile, inclusivo, diffuso e partecipato, a tutto vantaggio non soltanto della competitività ma anche della qualità della vita delle comunità residenti.

Parliamo della Scuola di Cammini e di Mobilità Sostenibile. Come vengono strutturati i seminari?
La Scuola di Cammini è un’intuizione del 2015 che riprende ed esalta le precedenti esperienze dei “Seminari francigeni” che per oltre un lustro abbiamo realizzato lungo i percorsi del celebrato itinerario. La formula è semplice: una colorata carovana di esperienze si muove lungo le tappe di un itinerario e incontra le comunità locali, i portatori di interesse e tutte le espressioni attive della società civile, con l’obiettivo di illustrare le opportunità derivanti per ciascuno dall’inserimento nel contesto di filiere integrate di prodotti e servizi per il viaggiatore lento. Gli incontri sono aperti e gratuiti, all’insegna della massima accessibilità culturale e della diffusione delle competenze, ispirati a quelli che nel medioevo furono i confronti e le dispute intellettuali della “peregrinatio studiorum”: andare viandando per conoscere, incontrare, dialogare, confrontare, esperire e valorizzare le differenze. La novità introdotta da un paio d’anni vede anche l’attivazione di Corsi residenziali, Corsi di alta formazione in seno agli ITS regionali e Master in collaborazione con le Università.

Il paesologo Franco Arminio scrive: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato“. Nel vostro manifesto BioSlow abbiamo ritrovato il medesimo sentiment: un calibrato intreccio di omaggio al paesaggio olfattivo e ai frutti della terra che porta poi alla nascita della rete “BioSlow“.
Anzitutto mi si consenta di evidenziare che siamo felicissimi che All Routes lead to Rome diventi un luogo in cui si sviluppano incontri e nascono nuove reti: nei giorni della imminente terza edizione si prevede la costituzione di 3 nuovi network tematici. “BioSlow” è uno di questi, promosso da ItaliaBio per affermare come la mobilità lenta sia una opportunità anche per i contadini, per i pastori, per le aziende dell’enogastronomia e per l’intera dimensione rurale dei territori. Il messaggio di fondo, oltre a voler celebrare l’importanza del cibo nell’economia – da cui la necessità stringente di restituire protagonismo a questi straordinari “custodi del territorio” – è conferire evidenza al connubio tra lentezza, autenticità, qualità delle produzioni e forme di consumo consapevoli.
Anche questo fa parte di una visione sempre più ampia e condivisa che chiamiamo “economia della bellezza”: per troppo tempo abbiamo considerato il paesaggio ed i suoi patrimoni materiali e immateriali come residuali, marginali o addirittura infruttiferi. Ora viene un tempo che chiede di recuperare una dimensione “umana” delle relazioni, del lavoro, della produzione e del mercato: va recuperato un rapporto diretto con la terra e con il creato, pena il completo smarrimento di ciò che siamo, verso una società di droni e mutanti ipertecnologici che vivono dietro la maschera di connessioni virtuali che solo apparentemente offrono appartenenza a qualche comunità, ma che in realtà mascherano una solitudine disarmante e malcelano l’incubo di un futuro alienante.

Goethe: un viaggiatore della fine del XVIII secolo che ha vissuto il tempo del viaggio come tempo di formazione, anche nel senso della formazione della personalità. Un turista del 2019 potrà mai avere lo spirito di Goethe nel viaggiare lungo lo Stivale? La “Associazione Europea dei Viaggi di Goethe” che obiettivi si pone?
La nascente Associazione Europea è un altro dei network che andranno a costituirsi dentro il perimetro di All Routes per imboccare da subito una strada di dimensione euromediterranea. Sono grandi Città d’arte e piccoli Comuni delle aree interne del paese, aree archeologiche e musei, imprese e realtà del terzo settore che riconoscono nel Viaggio in Italia di Goethe non soltanto la straordinaria fascinazione e narrazione che ha alimentato il Grand Tour, ma anche – soprattutto – un ritratto degli italiani. Un ritratto schietto e sincero, redatto da un intellettuale tedesco imparziale, talvolta benevolo e talvolta duramente critico, che riletto oggi – con duecento anni di ulteriori stratificazioni sociali e culturali – offre un’istantanea di ciò che eravamo, ci induce a riflettere su ciò che siamo e ci aiuta a comprendere dove andiamo.
Gli obiettivi dell’Associazione Europea sono intimamente connessi a questa dimensione: un grande itinerario che valica le Alpi proveniente dal cuore dell’Europa, attraversa l’intero Paese in 72 tappe di straordinaria valenza e intensità, giunge in Sicilia e si tuffa nel Mediterraneo, mettendo insieme – come filo di una collana di perle – grandi attrattori culturali, immensi patrimoni archeologici, paesaggi botanici e geologici, grandi centri urbani e piccoli scrigni d’arte e di cultura che rappresentano meravigliosamente la “italianità”. Ovvero ciò che più amano i viaggiatori che giungono nello Stivale, ancora oggi – lo dicono tutte le ricerche di mercato e le analisi – alla ricerca della bellezza e di uno stile di vita altrove inarrivabile, proprio come nel XVIII secolo.

Prof. Ceschin, se fosse Ministro del Turismo quali linee guida pianificherebbe per sviluppare l’economia della Bellezza?
Penso sempre, come Edoardo Bennato, che le mie istanze più profonde siano “solo canzonette”, e che quindi “nessuno mi darà il suo voto per parlare o per decidere del suo futuro”. Sono sempre rimasto equidistante dalla politica, perché vivo un profondo senso delle istituzioni che mi spinge ad essere sempre filogovernativo, indipendentemente dalle tendenze politiche del presente. Mi piace definirmi un “paternalista libertario”: libertario perché nulla vale quanto la libertà, soprattutto di scegliere, e paternalista perché rivendico il diritto della politica di modificare l’architettura delle scelte, collettive e individuali, qualora si dimostri come ciò possa migliorare la qualità della vita e del futuro delle persone. Se solo per un istante mi vedessi nella “stanza dei bottoni”, proverei anzitutto a lavorare su una visione il più ampiamente condivisa di Paese: negli scorsi decenni ci hanno convinti a dividerci su tutto, nord contro sud, centro contro periferie, riviera adriatica contro costiera tirrenica, destra contro sinistra, europeisti contro secessionisti… mentre in realtà siamo un paese piccolo piccolo (appena 1.291 chilometri dal punto più a nord, la Vetta d’Italia sulle Alpi Aurine, a quello più a sud, Punta Pesce Spada sull’isola di Lampedusa) che può guardare al domani soltanto ritrovando una proiezione unitaria. Nessun piano strategico potrà essere efficace in assenza di tale presupposto.
Siamo un piccolo pezzo di terra sul quale si è accumulata nei secoli una straordinaria varietà di esperienze umane, che hanno lasciato tracce di queste storie, numerose e diverse, che sono diventate paesaggi, tradizioni, culture e opere d’arte (contiamo 3.400 musei, 2.000 aree archeologiche, 43 siti Unesco, per complessive oltre 200mila potenziali attrattori, celebri e dimenticati): queste esperienze collettive sono diventate città, paesi, borghi e villaggi, disegnando una mappa di piccoli centri abitati, di paesaggi poco attraversati, di tradizioni poco conosciute ma ottimamente conservate, che costituiscono una grande riserva di valore per tutti. Siamo un Paese di “piccole patrie”, come diceva Adriano Olivetti, che devono smettere di competere tra loro o di produrre campanilismi esasperati per ritrovare unità in una idea condivisa e comunitaria di futuro. I nemici sono facili da individuare: si chiamano rendita di posizione, pressappochismo, qualunquismo e spontaneismo, avversi ad ogni tentativo di pianificazione e di organizzazione. Su tutto, mi adopererei per restituire consapevolezza delle innumerevoli eccellenze che il mondo intero guarda con stupore e ammirazione, anche se spesso sono lontane dai luoghi del turismo di massa o inaccessibili per i turisti. Per restituire orgoglio per le nostre capacità produttive, nel made in Italy e nelle produzioni agricole ed enogastronomiche. E per restituire merito alle competenze, sempre svilite: si pensi al paradosso che ancora consente di dire, nel Bel Paese ricco d’arte e di cultura, che i giovani specializzati nelle materie umanistiche sono “laureati deboli”. Insomma, un mix di interventi a basso investimento e grande rendita che si nutra di sguardi di lungo periodo, di pianificazione degli interventi, di integrazione di processo, di innovazione di prodotto, di qualità del servizio, di cooperazione territoriale per aumentare la competitività globale, attraverso un paternalistico sistema di incentivi e disincentivi, indulgente e insieme severo.

Un sogno?
Abbandonare quanto prima lo scenario di promozione turistica attuale, in cui gli attori protagonisti sono troppo numerosi, sovrapposti e inefficaci: di turismo parla il Ministero, l’Agenzia nazionale, le Regioni, le Province, i Comuni, le Camere di Commercio, i Gruppi di Azione Locale, le Pro Loco e mille altri soggetti, producendo un rumore assordante e indistinto, che genera solo confusione presso la domanda internazionale dei mercati e si propone spesso con lo stile della sagra paesana. Capisco sia necessaria una complessa riforma costituzionale, ma ritengo che orientare l’offerta in direzione delle preferenze e delle attese dei viaggiatori debba essere considerata un’emergenza, oltre che una priorità assoluta. Perdiamo 7 potenziali clienti su 10 nel punto vendita (i tour operator di tutto il mondo), quindi dovremmo concentrare ogni possibile sforzo nell’offrire loro prodotti chiari, semplici e competitivi, in linea con le richieste delle persone e delle famiglie che chiedono un catalogo di viaggio, informazioni on line, card con servizi a valore aggiunto, accoglienza sincera, esperienze immersive e ospitalità cortese, per vivere un’esperienza “italianizzante” come sognano da tutta una vita.

Il primo passo per muovere il Paese in avanti verso tutte queste direzioni? Ripartire dai brand territoriali più celebri (citarne solo alcuni è “pericoloso”, ma penso alla Costiera amalfitana, alle Dolomiti, al Gargano, al Salento, al Chianti, alle Langhe, alla Riviera romagnola, alla Valle dei Templi, alle Cinque Terre, ecc.) e aggregare attorno ad essi le filiere di servizio e di prodotto: da ogni parte del mondo dovrei poter acquistare facilmente un prodotto-territorio, che mi lusinghi e mi accompagni dall’aeroporto di partenza al ritorno a casa (e magari anche dopo), contenente tutti i servizi necessari alla qualità della permanenza (trasporti, soggiorni, musei, biglietti d’ingresso, spettacoli, esperienze, visite guidate, escursioni, ecc.).
Se potessimo riuscire (e la tecnologia 4.0 oggi potrebbe aiutare non poco), gli itinerari, le rotte, i cammini e le ciclovie potrebbero poi costituire gli asset su cui investire per “traghettare” i viaggiatori nelle aree interne, nel Mezzogiorno, verso le località meno conosciute, lentamente, progressivamente, sostenibilmente, contribuendo anche a ridurre i fenomeni di overtourism e dunque l’assedio dei luoghi che rischiano di farci rimanere soltanto uno sfondo per un fuggevolissimo selfie…

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