Mobilità sostenibile in Italia: l’impatto del coronavirus (e il distacco dall’Europa)
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11 Ottobre 2020
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Nel confronto internazionale il gap da colmare è ancora evidente. In più, l’impatto del coronavirus ha penalizzato soprattutto il trasporto pubblico.
Rispetto al periodo precedente al lockdown causato dal coronavirus, l’utilizzo dell’auto come mezzo di trasporto in città è aumentato del 70%. Lo spostamento a piedi è cresciuto del 26%. Il trasporto pubblico locale è calato del 25%. I dati si riferiscono allo scorso 30 luglio e fanno parte dei grafici elaborati sulla base delle richieste di indicazioni registrate da Apple maps in Italia tra il 15 febbraio e il 19 settembre 2020.
Un altro grafico, questa volta elaborato sulla base dei dati di Google Maps, è costruito sulla base delle posizioni degli utenti. Il periodo è quasi lo stesso: 15 febbraio – 11 settembre e mostra i rilevamenti di posizione nei luoghi di lavoro e alle fermate del Tpl. In questo caso è l’effetto smart working a farsi sentire, con un calo del 27% sui luoghi di lavoro registrato sempre il 30 luglio rispetto a prima della pandemia.
Lo stravolgimento delle città causato dal Covid è uno dei temi analizzati all’interno del rapporto 2020 dell’Osmm (Optimal sustainable mobility mix), intitolato “Mobilità sostenibile per il rilancio delle città metropolitane” e che, come nell’edizione precedente, «oltre ai dati cerca di fornire soluzioni concrete nel contesto della transizione verso forme di mobilità sostenibili» sottolinea Stefano Clerici, direttore dell’Osmm e membro di Agici – Finanza d’impresa, il gruppo di esperti fondato da Andrea Gilardoni che, tra le altre attività, realizza il rapporto.
«Ovviamente – chiarisce Clerici – le elaborazioni di Apple maps e Google maps forniscono un’indicazione, una tendenza, non un dato preciso sulla quantità di auto o di persone. Ma anche altri recenti rilevamenti più specifici ci dicono che siamo tornati ai livelli di traffico pre-covid. Il problema è che oggi moltissime persone sono in smart working. Cosa accadrà quando tutti torneranno fisicamente al lavoro?».
Tra gli effetti collaterali dell’epidemia c’è, quindi, anche quello sulla sostenibilità dei trasporti all’interno delle città italiane, sostenibilità che già non era ottimale neppure prima del coronavirus. La seconda edizione del rapporto mette prima in fila le città metropolitane e poi allarga lo sguardo al contesto europeo.
«La classifica che è stata stilata è unica nel suo genere e mette a sistema tutta una serie di dati» – commenta Andrea Gilardoni a proposito della graduatoria italiana che vede al primo posto Milano. «Si basa su sette macro aree e 42 indicatori, con dati relativi alla domanda e all’offerta nell’ambito dei trasporti. Non è mai stato fatto prima un lavoro di questo genere e la raccolta dei dati è stata complessa e lunga: servirebbe una banca dati nazionale sulla mobilità integrata». Alla fine del lavoro scaturisce l’Indice della mobilità sostenibile (Ims) per la realizzazione del quale, ricorda Clerici, «abbiamo collaborato con alcuni partner tra cui Abb, Cisco, Cva, Eni, Iren, Rfi, Terna, Enel x, Utilitalia».
La classifica delle città metropolitane
Tutti i dati messi insieme dal gruppo di lavoro guidato da Clerici hanno prodotto un indice che va da zero – minimo – a cento – il massimo risultato –: Milano spicca con oltre 70, poi Firenze (staccata di 8 punti), Bologna, Torino, Roma. In coda si trovano Messina, Napoli e Palermo, con meno della metà dei punti rispetto al capoluogo lombardo.
«Non si vuole mettere sul piedistallo o dietro la lavagna nessuno – afferma Stefano Clerici – ma dare uno strumento utile alle amministrazioni per aiutare ad agire. In generale possiamo dire che emergono alcuni aspetti: le città metropolitane più virtuose hanno anche un parco circolante abbastanza moderno e il Tpl efficiente porta in alto nella graduatoria, viceversa penalizza. Anche la presenza o meno di Ztl ha un peso importante».
L’analisi delle 14 città metropolitane evidenzia ad esempio che Bologna trae vantaggio dalla cosiddetta mobilità dolce (è favorito lo spostamento in bicicletta), mentre Firenze presenta una buona dotazione di rete di ricarica per auto elettriche e ibride plug-in. In fondo alla classifica, invece, il caso di Napoli è emblematico: c’è la metropolitana, il che è positivo, ma forse è meno utilizzata di quanto potrebbe esserlo, la città è carente nei servizi di sharing e l’interscambio tra mezzi di trasporto non è così efficiente.
Le criticità italiane
Dal rapporto Osmm 2020 emergono alcune criticità “consolidate” per la mobilità italiana. «Gli aspetti più critici relativi alla mobilità urbana sono l’utilizzo predominante dell’automobile privata per gli spostamenti – si legge nel rapporto – quindi lo scarso utilizzo del trasporto condiviso, e un parco circolante vetusto e molto inquinante. Rispetto al primo elemento, persino nelle città metropolitane, dove il trasporto pubblico dovrebbe aver raggiunto alti livelli di efficienza, più del 55% (in alcuni casi anche il 70%) degli spostamenti è effettuato in auto. Questa tendenza si combina negativamente con le caratteristiche del parco auto, un’età media superiore agli 11 anni e la presenza di veicoli molto inquinanti (il 35% è di classe pari o inferiore a Euro 3)».
Questo scenario non certo ottimale si incrocia con l’esigenza di raggiungere «gli obiettivi comunitari sempre più stringenti in tema di emissioni, trasformati in obiettivi vincolanti dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), che rendono non più rinviabili azioni che impongano un cambiamento radicale del settore».
Il confronto internazionale
A guardare la tabella con i vari parametri messi in fila dal gruppo di lavoro dell’Osmm per confrontare le città italiane con quelle europee si capisce che tutto è relativo. «E che, soprattutto – dice Stefano Clerici – siamo complessivamente un passo indietro».
Scorrendo il rapporto si evince che «i divari più ampi sono relativi al tasso di motorizzazione e alla quota modale di uso dell’auto e del Tpl. Questo si può spiegare con minori investimenti nelle infrastrutture per il trasporto pubblico compiuti nei decenni passati, che hanno creato una dipendenza dall’uso dell’automobile che oggi è difficile da modificare. Per portarsi al livello delle grandi metropoli europee è necessaria una politica di rilancio complessiva del settore che includa lo stanziamento di risorse per il trasporto pubblico e politiche di disincentivo all’uso dell’automobile e di incentivo per la mobilità dolce».
Dai dati emerge che le città italiane presentano tutte un dato più favorevole per i cittadini rispetto alle città estere: il costo dell’abbonamento mensile del trasporto pubblico. «Il nostro costo è molto più basso – conferma Clerici – tuttavia non è detto che questo elemento sia a tutti gli effetti un dato positivo». In Italia si va dai 35 euro mensili di Firenze e Roma ai 39 euro di Milano, contro i 40 euro di Barcellona, i 50 di Amsterdam, 54 di Madrid, 75 euro di Parigi, 156 di Londra (eccezioni sotto la media sono Budapest e Praga, con 27 e 24 euro al mese). Abbonamenti molto meno cari si possono tradurre anche con meno risorse per investimenti e ammodernamento dei mezzi del Tpl.
Le prospettive e le cose da fare
Il rapporto “Mobilità sostenibile per il rilancio delle città metropolitane” ha messo in fila una serie di misure/provvedimenti che potrebbero essere presi sia a livello centrale, sia locale, per migliorare la situazione e colmare il gap con le realtà oltre confine.
«Il primo tema è ripensare gli spostamenti all’interno delle città – spiega Stefano Clerici –. Un’idea per appiattire la curva del traffico sarebbe quella di prevedere ingressi e uscite dai luoghi di lavoro con orari differenziati» in modo da spalmare il traffico riducendo i picchi (che poi significano rallentamenti, ingorghi, maggiore inquinamento).
«Un altro aspetto – continua il direttore dell’Osmm – è quello legato all’intermodalità: occorre fare in modo che ci siano sempre più alternative per le persone. Non solo il Tpl, ma car sharing, biciclette; e questa offerta deve poter contare su infrastrutture adeguate: hub intermodali, soprattutto con le ferrovie. In questo processo il ruolo delle piattaforme digitali è fondamentale perché possono rendere tutto più fruibile».
Governance pubblica con visione per cambiare la prospettiva
Non si tratta di processi semplici e neppure, probabilmente, rapidi. Soprattutto, sottolinea Clerici, «servono governance pubbliche perché tutto questo si realizzi nel modo migliore. C’è un livello alto, che può essere quello del governo centrale, che deve avere visione e fornire linee guida con indicazioni e sostegni economici: dagli incentivi per la logistica dell’ultimo miglio al rinnovo del parco autoveicoli, alle flotte aziendali che devono diventare elettriche o almeno ibride».
E poi ci sono i livelli intermedi – le Regioni – e gli enti locali, i comuni: «Regioni e città devono mettere a sistema le varie modalità e le innovazioni già oggi disponibili. Devono fare da coordinamento per tutte le iniziative private, per evitare che ognuno vada per conto proprio: è importante che le piattaforme intermodali siano compatibili tra loro e che quelle digitali dialoghino le une con le altre».
[contributo di Carlo Andrea Finotto per il Sole24Ore]ATTENZIONE
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