COP26

Ecco quindi un glossario per comprendere i termini del dibattito e le agende presentate dai vari governi: 26 parole, sigle ed espressioni che fanno parte del linguaggio scientifico e istituzionale, ma sono talvolta poco familiari per l’opinione pubblica. Conoscerle è il primo passo per vigilare sul rispetto delle promesse che verranno fatte.

1. Cop26

È la 26ª Conferenza delle parti (Conference OParties) che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, trattato nel cui ambito è stato siglato l’Accordo di Parigi. Il vertice è stato ospitato a Glasgow, in Scozia, dal 31 ottobre al 12 novembre 2021.

2. Accordo di Parigi

Trattato internazionale siglato tra 196 parti alla Cop21 di Parigi, nel dicembre 2015. Stabilisce gli obiettivi che gli Stati aderenti devono raggiungere per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici: l’impegno principale è quello di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2 °C in più rispetto ai livelli preindustriali, ma s’incentiva a limitarlo a 1,5 °C. Per la prima volta, sia i Paesi in via di sviluppo sia le economie più avanzate hanno concordato di abbattere le emissioni di gas serra per controllare l’aumento delle temperature.

3. Unfccc

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (o Accordi di Rio) è un trattato internazionale prodotto dalla conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (o summit della Terra), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992; è stato firmato da 154 Stati con l’obiettivo di limitare le concentrazioni di gas serra e scongiurare le conseguenze più drammatiche del cambiamento climatico. Tuttavia, non si sono specificate nel concreto le misure da attuare. Un glossario “climatico” è consultabile sul sito web della Convenzione.

4. Protocollo di Kyoto

Il primo strumento pratico dell’Unfccc è stato il Protocollo di Kyoto del 1997: si sono fissati gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra per ciascun Paese sviluppato, prevedendo un taglio complessivo del 5% entro il 2012, mentre ai Paesi in via di sviluppo (Cina inclusa) si è permesso di aumentarle. Gli Usa hanno firmato il trattato, ma non l’hanno ratificato per l’opposizione del Congresso. Il Protocollo è entrato in vigore nel 2005: ormai obsoleto, è stato alla fine superato dall’Accordo di Parigi.

5. Ndc

I contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions) sono piani con cui i singoli Paesi stabiliscono gli obiettivi di riduzione delle emissioni, solitamente fissati al 2030, e le azioni per raggiungerli. Sono uno strumento previsto dall’Accordo di Parigi; qualora i risultati che gli Stati si prefiggono siano insufficienti a contenere l’aumento delle temperature, si ricorre a un meccanismo di salvaguardia: ogni cinque anni, le parti devono riaprire i negoziati e adeguare gli impegni.

6. Ipcc

Il Gruppo intergovernativo sui Cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change) è un organismo nato nel 1988 per volontà dell’Onu e dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Vi sono riuniti i principali scienziati del clima, che hanno prodotto cinque rapporti di valutazione su riscaldamento globale e crisi climatica. Il sesto sarà pubblicato nei prossimi mesi: la prima parte, presentata lo scorso agosto, delinea gli eventi estremi (talvolta irreversibili e senza precedenti) che il pianeta dovrà affrontare e le relative, gravi responsabilità degli esseri umani.

7. +1,5 °C

E’ sui rapporti dell’Ipcc che si basano gli obiettivi cruciali fissati dall’Accordo di Parigi, ovvero mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C in più rispetto all’epoca preindustriale e attuare ogni sforzo per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C.
Il quarto rapporto del 2007 suggeriva che il mondo si sarebbe riscaldato di 1,8 °C, se si fossero prese alcune misure per tagliare le emissioni, e di 4 °C se non si fossero controllate queste ultime. La soglia dei 2 °C era considerata estrema: oltre, l’impatto dei cambiamenti climatici sarebbe catastrofico.
Il rapporto del 2018 ha però rilevato che le conseguenze sarebbero tragiche già con +1,5 °C.

8. Riscaldamento globale

L’aumento progressivo della temperatura media superficiale registrato a livello planetario. Si misura soprattutto in confronto all’epoca preindustriale, per capire come le attività umane incidano su tale processo e interagiscano con altri fattori. La causa principale del fenomeno, infatti, sono le emissioni di gas serra nell’atmosfera. Il fatto che la Terra si riscaldi provoca cambiamenti nel clima ed eventi meteorologici particolarmente intensi.

9. Cambiamento climatico

L’insieme di fenomeni che riguardano il clima a livello globale e che si materializzano sia in forma di eventi meteorologici estremi sia attraverso altri meccanismi fisici. Esempi? Innalzamento del livello medio dei mari, scioglimento dei ghiacciai, aumento delle temperature, maggiore frequenza e intensità delle precipitazioni, siccità persistenti e sempre più diffuse. Calamità da cui spesso dipendono anche carestie e impossibilità di accedere all’acqua potabile.

10. Adattamento

La resilienza richiesta agli esseri umani, oltre che ad animali e piante, per imparare a vivere con temperature più alte. Il pianeta si è già riscaldato di circa 1,2 °C rispetto ai livelli preindustriali, a ogni latitudine stiamo affrontando le conseguenze del cambiamento climatico. In futuro, anche se riuscissimo a ridurre parzialmente le emissioni inquinanti, dovremo comunque prepararci a eventi meteorologici ancora più estremi. Molti settori – dalle infrastrutture all’edilizia, fino all’agricoltura – dovranno adeguarsi e dotarsi di mezzi per affrontare inondazioni, caldo torrido, siccità.

11. Gas serra (Ghg)

La categoria dei gas atmosferici che contribuiscono al riscaldamento globale attraverso la loro capacità di generare l’effetto serra. Nell’elenco di quelli di cui occorre limitare le emissioni rientrano anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoruro di zolfo (SF6).

12. Equivalente dell’anidride carbonica (CO2e)

L’unità di misura utilizzata per raggruppare e calcolare in maniera uniforme le emissioni di gas serra. In pratica, gli altri gas che contribuiscono al riscaldamento globale sono convertiti in anidride carbonica in base a questo loro potenziale effetto; si misura la quantità corrispondente di CO2 che provocherebbe lo stesso livello di riscaldamento.

13. Metano

È un gas serra ancora più potente dell’anidride carbonica: può intrappolare il calore in maniera 80 volte più efficace di quest’ultima. Mentre la CO2 rimane nell’atmosfera per circa un secolo dopo essere stata rilasciata, il metano resta per un paio di decenni e poi si degrada proprio in anidride carbonica. Le principali fonti sono le perdite generate da estrazione e lavorazione di combustibili fossili (come nel caso dei pozzi di petrolio), ma anche l’allevamento di animali e altre attività agricole.

Cop26

14. Biomassa e fonti rinnovabili

La biomassa è la materia organica che proviene da piante e animali; può essere utilizzata per produrre energia pulita o biocarburanti. Le fonti rinnovabili, in generale, sono quei fattori presenti in natura senza limiti (Sole, vento, acqua) da cui si può ricavare energia a basso impatto ambientale (fotovoltaico, eolico, idroelettrico).

15. Mitigazione

Nell’ambito dell’Unfccc, s’intendono tutti quegli interventi realizzati per diminuire le fonti di gas serra o per potenziare gli strumenti in grado di assorbirli. Ad esempio: il consumo più razionale dei combustibili fossili nei processi industriali, il passaggio all’energia solare o eolica, il miglioramento dell’isolamento degli edifici, i piani per l’estensione della superficie forestale.

16. Zero netto

Uno degli obiettivi climatici che governi e imprese perseguono. Consiste nel ridurre il più possibile le emissioni di gas serra e nel compensare quelle residue non eliminabili (ad esempio, quelle prodotte da alcune industrie o settori come l’aviazione). Come? Proteggendo e potenziando gli strumenti di cattura e i siti di stoccaggio della CO2. Gli ambientalisti attaccano il concetto di “emissioni nette zero”, o di “carbon neutrality”, perché sarebbe un alibi per giustificare l’inquinamento che non si vuole abbattere.

17. Compensazione della CO2

Siccome l’anidride carbonica genera lo stesso impatto ambientale indipendentemente dalla fonte, si ritiene che assorbendone una certa quantità in un punto del pianeta si possa annullare l’effetto conseguente in un altro posto. Stati e aziende compensano in parte l’inquinamento atmosferico prodotto investendo in progetti mirati a ridurre le emissioni o a immagazzinare CO2. Quali? Conservazione delle foreste, piantumazione di alberi, transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, tecniche sostenibili di coltivazione. Per ciascun impegno mantenuto viene assegnato il corrispondente numero di “crediti di carbonio”. Una pratica controversa.

18. Crediti di carbonio

Possono essere guadagnati, appunto, attraverso la compensazione della CO2. Ogni credito, che dev’essere certificato da appositi organismi, rappresenta una riduzione delle emissioni equivalente a una tonnellata di anidride carbonica. Questi bonus possono anche essere acquistati da un’azienda o da un Paese per essere conteggiati nel proprio bilancio e per raggiungere gli obiettivi climatici. Di qui le critiche avanzate dagli ambientalisti: la misura aggrava la disparità tra ricchi e poveri.

19. Articolo 6

Un nodo da sciogliere è quello che riguarda l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, il quale ammette la creazione dei “mercati di carbonio”. Attivisti e rappresentanti di alcune parti temono che la compravendita di crediti non si traduca in tagli reali delle emissioni o nasconda calcoli gonfiati. Perciò hanno chiesto l’abolizione di questa norma. Al contrario, il Brasile e altri Stati con grandi foreste vogliono che sia mantenuta. I contrasti hanno già compromesso l’esito della Cop25, tenutasi a Madrid nel 2019.

20. Cattura e stoccaggio della CO2

Prima che si diffonda nell’atmosfera, l’anidride carbonica viene catturata (o sequestrata) all’uscita di una grande fonte (come una centrale elettrica o un impianto industriale); viene eventualmente trasportata e poi stoccata in serbatoi artificiali o naturali. Il processo, per esempio, comporta spesso l’iniezione del gas nelle profondità del sottosuolo, dove resta intrappolato. È un metodo per abbattere le concentrazioni e l’inquinamento nell’aria.

21. Impronta ecologica

Detta anche impronta di carbonio. È una misura che si riferisce alla quantità di CO2 emessa da un’azienda o da un qualsiasi altro soggetto in un determinato periodo di tempo, attraverso la propria produzione o attraverso le proprie azioni e abitudini di vita (consumo di energia, mezzi di trasporto…).

22. “Climate positive”

Locuzione con cui si definiscono tutte quelle attività o realtà che hanno un impatto positivo dal punto di vista climatico. In pratica, superano l’obiettivo dello zero netto: assorbono e rimuovono dall’atmosfera più CO2 di quanta ne generino.

23. “Scope” 1, 2, 3

Gli ambiti delineati dal Ghg Protocol per calcolare l’impronta ecologica di un’azienda (e distinguere tra fonti di emissione direttamente controllabili o meno).

  • Il numero 1 valuta le emissioni dirette, come quelle create dalla combustione di carburante o dai processi industriali.
  • Il 2 considera le emissioni indirette, associate a elettricità o riscaldamento.
  • Il 3 si riferisce alle emissioni a monte e a valle della catena di valore. Le prime includono quelle dovute a trasporto, distribuzione, pendolarismo dei dipendenti, rifiuti, produzione di beni e servizi acquistati. Le seconde comprendono quelle legate all’uso del prodotto dell’azienda, al suo trattamento a fine vita o agli investimenti.

24. Ecotassa

Un tipo di tributo imposto dalle autorità amministrative a livello centrale o locale su attività dannose per l’ambiente. Incentiva in maniera indiretta i comportamenti virtuosi e spinge aziende o individui a incrementare la propria sostenibilità, penalizzando chi compia scelte ad alte emissioni (esempi sono la tassa sugli autoveicoli altamente inquinanti o la “carbon tax”).

25. Finanza per il clima e giustizia climatica

Alla Cop15, tenutasi a Copenaghen nel 2009, s’è stabilito che i Paesi in via di sviluppo ricevessero finanziamenti per il clima pari ad almeno 100 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020. Così le economie più avanzate li avrebbero aiutati a ridurre le emissioni e a fronteggiare le calamità naturali sempre più frequenti. Ma la promessa non è stata mantenuta: nel 2019 i fondi elargiti si sono fermati a 80 miliardi di dollari. Ecco perché il clima è una questione di giustizia sociale. Le popolazioni maggiormente minacciate dagli effetti del cambiamento climatico sono spesso quelle più povere e meno responsabili del riscaldamento globale.

26. “Greenwashing”

Termine che indica le iniziative adottate da aziende ed esperti di marketing per attirare l’attenzione sui propri sbandierati piani di sostenibilità, i quali consistono solo in misure di facciata e non intaccano (anzi, spesso tendono a nascondere) le pratiche consolidate più dannose per l’ambiente.

[Contributo di Anna Dichiarante per La Repubblica]

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