Come le città europee contrastano le lobby delle auto. E perché l’italia dovrebbe imitarle

Sicurezza bici auto traffico

Nel 2016, alla conferenza C40, i sindaci di tante città presero posizione contro il cambiamento climatico, ponendosi come traguardo di ridurre il traffico automobilistico nelle rispettive città in modo da far calare i livelli di inquinamento, di favorire i trasferimenti in bicicletta e bandire i motori a diesel nei centri storici entro il 2025. Da allora, molte città si sono impegnate per raggiungere il loro obiettivo, portando esempi interessanti che dovrebbero essere seguiti anche in Italia, perché la mobilità è uno dei temi chiave per rispondere all’emergenza climatica e la bicicletta è il suo strumento fondamentale. Le nostre città sono invece cresciute mettendo al centro le auto, e ora è arrivato il momento di smettere.

Oltre il 70% degli europei vive concentrata in centri urbani e da qui derivano problematiche cardine come il traffico e l’inquinamento ambientale e acustico che minano la qualità della vita. Basti pensare che circa 3 milioni di morti premature ogni anno sono connesse all’inquinamento e che più del 90% dei bambini al mondo vive in aree in cui la qualità dell’aria è inferiore alle raccomandazioni dell’Oms. Non a caso le città di maggior successo, premiate a livello internazionale per la loro qualità, sono quelle che più puntano sullo sviluppo e la diffusione della cultura delle due ruote. La bicicletta è infatti un mezzo benefico per l’ambiente urbano, positivo per la salute ed economicamente conveniente. Lo mette in luce la Bicycle Architecture Biennale, nata due anni fa per esplorare proprio i modi in cui la bicicletta e la cultura che ci gravita attorno daranno forma alle città del futuro, presentando – attraverso i progetti esposti – realtà in cui questo mezzo contribuisce a rendere le città non solo più funzionali, ma anche più inclusive, determinano inoltre stili di vita più salutari, un ambiente più pulito e un’economia più sostenibile.

Madrid ha deciso di intervenire per innalzare il numero dei suoi spostamenti su due ruote, prossimi allo zero, imponendo restrizioni agli autisti non residenti nel centro. Quando Parigi ha bloccato completamente le auto per un giorno, nel 2016, ha visto ridursi i livelli di anidride carbonica del 25% e quelli di inquinamento acustico del 20%. Ma ovviamente le iniziative non sono mai indolori: proprio a Parigi la politica ha dovuto scontrarsi con parte dell’opinione pubblica nel realizzare i suoi piani in favore della bicicletta. A opporsi alla sindaca Anne Hidalgo ci sono le lobby dell’automobile e dei carburanti, ma anche molti cittadini scontenti delle limitazioni loro imposte e dei continui lavori stradali per realizzare le piste ciclabili. Eppure l’evidenza premia e la sindaca porta a casa risultati notevoli. Oggi, infatti, il 3% dei parigini va tutti i giorni a lavoro in bicicletta: può sembrare poco, ma i 56 misuratori installati in diversi punti strategici hanno contato, tra settembre 2018 e settembre 2019, un aumento dei passaggi delle biciclette in media del 54%, con picchi dell’82% nell’undicesimo arrondissement. Questo per effetto delle restrizioni alla circolazione delle auto, dell’introduzione del bike sharing e dell’aumento delle piste ciclabili. Queste, secondo il Plan Vélo della sindaca Hidalgo, avrebbero dovuto duplicare, arrivando da 700 km a 1400 entro il 2020, ma poi si è deciso di fermarsi a mille. Ciononostante sono stati fatti passi importanti.

Resta da lavorare sull’educazione dei cittadini a una mobilità più corretta, consapevole e rispettosa e sulla consapevolezza dei benefici degli spostamenti su due ruote. Nell’opera di “ciclizzazione” però è coinvolta tutta la Francia, il cui governo nazionale vuole triplicare il numero di spostamenti in bicicletta entro il 2024, portandolo al 9% del totale, attraverso incentivi per 350 milioni di euro ai Comuni che per mettere in sicurezza le proprie strade, rendendole a misura di ciclista. E non si tratta solo dei centri urbani: nell’intera regione dell’Île de France gli spostamenti in bici – circa 840mila al giorno – hanno superato anche quelli in moto e scooter: l’auto resta in cima alla classifica, ma con un calo del 5% dal 2010 a oggi. E Parigi balza in avanti – passando dal quindicesimo all’ottavo posto – nella classifica delle città più bike friendly al mondo, dietro Bordeaux e Strasburgo, le altre due francesi piazzatesi al sesto e al quinto posto. A settembre 2019 l’Île de France ha lanciato un massiccio servizio di e-bike sharing di 10mila veicoli, seguito da incentivi di 500 euro a chiunque acquisti una e-bike. A questo si aggiungono tariffe vantaggiose per il noleggio: nel complesso, nella regione vengono dedicati al progetto 12 milioni di euro.

Atene, che ha una percentuale di trasferimenti cittadini giornalieri in bici che si registra attorno al 2% (accresciuti per effetto della crisi), nel 2018 ha ricevuto dal governo greco 230mila euro per un piano strategico, ma sono necessari interventi massicci: la crisi da cui la Grecia non è ancora uscita e il pessimo stato di partenza della mobilità nella capitale – in fondo alle classifiche europee per congestionamento del traffico, stato dei trasporti pubblici e spazi verdi – non rende facile il compito e nonostante i miglioramenti apportati alla rete di tram, metropolitana e ferrovie negli ultimi 15 anni, servono ulteriori interventi, soprattutto per lo sviluppo e il mantenimento delle piste ciclabili. Il piano integrato per la mobilità sostenibile del Comune, intanto, punta a sviluppare infrastrutture per le biciclette e rafforzare il trasporto pubblico, integrando entrambi con poli d’attrazione cittadini: dalle scuole alle sedi sportive, dagli uffici amministrativi alle aree di interesse culturale ai parchi.

Detto ciò, purtroppo, lo spostamento dalla macchina alla bicicletta, così come ad esempio dall’abusare della carne all’avvicinarsi a una dieta vegetariana o vegana, non sembra essere indolore, e com’è successo a Parigi anche in Norvegia non sono mancate critiche alle iniziative pro-bici. A Oslo – che ha portato le vittime della strada da 41 nel 1975 a una sola (un automobilista) in tutto il 2019 e dove l’anno scorso nessun pedone e nessun ciclista sono stati vittima di incidenti stradali mortali – i commercianti hanno mostrato resistenze, smontate poi dai risultati, gli stessi delle altre città pedonalizzate: le aree interdette al traffico finiscono per diventare quelle più popolari e frequentate. “Un paio di decenni fa sembrava assolutamente normale fumare nei locali”: così, presto ci sembrerà assurdo entrare con l’auto in città, suggerisce Hanna Elise Marcussen, vicesindaca di Oslo deputata allo Sviluppo urbano. Quello della capitale norvegese è il risultato di un grosso impegno municipale nella riduzione del traffico automobilistico, ottenuta abbassando i limiti di velocità, limitando l’accesso delle auto nel centro storico – reso quasi completamente car-free nel 2019, attraverso un’organizzazione in cerchi concentrici – realizzando piste ciclabili più sicure ed eliminando oltre mille posti auto tra il 2017 e il 2018. Oslo è un chiaro esempio per tutte le città che vengono considerate troppo fredde e troppo poco pianeggianti per essere adatte alle bici: nella classifica delle città più bike friendly è infatti al settimo posto. A Oslo oggi hanno accesso al centro solo le auto con contrassegno disabili (a cui sono dedicati i posteggi rimasti) e le ambulanze e, per un paio d’ore la mattina, i mezzi per le consegne a domicilio.

Ovunque, le norme di sicurezza stanno finalmente cominciando a focalizzarsi sui ciclisti, che rientrano tra i soggetti della strada più vulnerabili. Tra le principali disposizioni c’è la riduzione dei limiti di velocità e l’interdizione alle auto in aree specifiche e, per quanto riguarda le infrastrutture, la costruzione di blocchi per separare fisicamente le piste ciclabili dalla strada. L’ha fatto, ad esempio, la città di Odense, in Danimarca, che dal 1997 si è dotata di una circovallazione intorno alla città, per deviare dal centro il traffico di auto e camion. Altre iniziative sono state testate in alcune zone pilota per poi essere estese a tutta la città, come le limitazioni della velocità a 30 km orari, i dossi e le zone interdette alle auto: in queste aree si sono misurati un calo del 35% del traffico automobilistico e un aumento dei ciclisti fino al 62%. Un altro forte incentivo, in questo caso per i pendolari, è la combinazione treno-bici, favorita dalla possibilità di trasportare la bicicletta sui vagoni, ma anche dalla presenza di parcheggi per le due ruote ampi, sicuri, ben illuminati di notte – anche perché il furto di biciclette è uno dei grossi disincentivi – e ben organizzati presso le stazioni, con sistemi per segnalare i posti rimasti liberi.

E in Italia?

Le città italiane potrebbero prendere spunto da questi esempi per investire sulle infrastrutture e trovare il coraggio di opporsi alle lobby contrarie a queste operazioni, sempre più urgenti ed evidentemente necessarie. Anche in Italia, negli ultimi, anni si è registrato un aumento spontaneo degli spostamenti a piedi e in bicicletta (+8,6% tra il 2015 e il 2017), ma la maggioranza (il 57%) viene ancora effettuata in auto.

Tra le città che hanno aderito al monitoraggio del settembre scorso, Piacenza si conferma al primo posto (sono state contate 4,5 bici circolanti per ogni abitante), sottraendo a Ferrara il titolo di “città delle biciclette”, seguita da Bolzano (3,6) e Fano (3). Seguono a loro volta Novara, Padova, Reggio Emilia e Pesaro. In generale, anche analizzando i valori assoluti a parte Torino nelle posizioni virtuose non si registra nessuna altra grande città.

Per battere il cambiamento climatico che tanto impatto sta già avendo anche in Italia, non è sempre necessario guardare al futuro con complicate soluzioni d’avanguardia tecnologica: a volte si può partire da una soluzione del passato, un mezzo antico che ci permetterebbe di risolvere alcuni grandi problemi del futuro.

[ Tratto da un contributo di Silvia Graziero per The Vision ]

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