Comunicare una destinazione turistica nell’era delle pandemie

turismo e covid

A due mesi dalla dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha legittimamente ristretto le libertà di movimento per miliardi di persone per contrastare il contagio, gli spiragli della “fase 2” fanno tornare lo sguardo e le fantasie all’estate che si avvicina, alle vacanze e ai viaggi.

L’offerta, pubblica e privata, non sembra destinata a evolvere rapidamente

Il premier Giuseppe Conte nelle sue conferenze stampa ha affrontato solo marginalmente il tema del turismo, prospettando la creazione di un tavolo di confronto per trovare soluzioni e fondi per far ripartire il comparto. Da par suo, il Ministero per i Beni e le Attività culturali, che riassume anche la delega al Turismo, è concentrato sulla riapertura dei musei e prospetta timidamente la possibilità di un’emissione straordinaria di voucher per le vacanze.

Mentre attendiamo di conoscere l’andamento del virus con la “fase 2” di un coronavirus che ha un tempo di incubazione superiore alle due settimane, i primi caldi e il primo tepore dei raggi solari spinge le fantasie a immaginare le prossime vacanze estive.
Lontanissimi dall’approfittare di questa crisi senza precedenti per innovare i prodotti turistici e far emergere nuove proposte con un’offerta di alta qualità e servizi di eccellenza, gli operatori di settore sembrano però concentrati sugli incentivi e sulla prospettiva di un ritorno alla normalità più rapido possibile.

Prime tendenze del turismo post pandemia: nuovi orientamenti della domanda

Eppure le tendenze sembrano ormai delinearsi con una certa chiarezza. Il turismo dopo il lockdown ripartirà dagli anni Cinquanta e Sessanta: una domanda totalmente interna che guarderà a spostamenti di prossimità, non oltre i 400 chilometri, scegliendo tra le offerte al ribasso dell’offerta turistica. Parola d’ordine: prossimità.

Realisticamente, ciò significherà che – se riusciremo ad andare in vacanza – dovremo tutti continuare a seguire misure di distanziamento sociale, profilassi, contenimento dei rischi, procedure igienizzanti e utilizzo delle mascherine. All’atto pratico, quindi, si attiveranno per prime le strutture e i servizi turistici che riusciranno a garantire adeguati standard di sicurezza.
E probabilmente cambieremo mezzi di trasporto: le modalità attive conquisteranno segmenti di mercato, spostando le famiglie verso località “alternative” alle più frequentate verso terme, montagne e località prima definite “minori”.

Come comunicare le destinazioni, dopo Covid-19?

  1. Prima di tutto la salute pubblica e la sicurezza individuale (dei lavoratori e dei viaggiatori), che deve imperativamente rimanere il primo obiettivo.
    Con realismo e un pizzico di pragmatismo è necessario pensare che – qualora si dovessero manifestare nuovi focolai in queste prime fasi della ripresa – scatterebbe l’esigenza di identificare ‘zone rosse’ che, qualora coincidessero con destinazioni turistiche, creerebbero ovvie e improvvise modifiche dei flussi, delle prenotazioni e delle traiettorie di viaggio, creando problemi non indifferenti.
    Sicurezza e salute stanno spingendo strutture ricettive, lidi balneari, pro loco e destinazioni a ridisegnare i servizi: hanno iniziato a circolare le immagini di installazioni in plexiglass per l’isolamento, di scanner termici e di altre misure più o meno invasive di contenimento del virus (dispositivi per il personale, cloche per il trasporto dei piatti dalla cucina ai tavoli, servizi di portineria “fai da te”, ecc.).
    Per evitare di entrare in una situazione di “comunicazione di crisi“, le misure adottate dal territorio, dalla destinazione o dal singolo operatore dovranno essere comunicate anzitutto ispirandosi al principio di trasparenza.
  2. Le esigenze di sicurezza dei visitatori e degli ospiti richiedono una dose supplementare di empatia, di rassicurazione e di benevolenza.
    La paura è un sentimento che non si governa. E la responsabilità di scegliere una vacanza per i propri affetti non è un elemento da sottovalutare, così come non lo sono le manifestazioni di ansia e di incertezza.
    Forse gli operatori dell’accoglienza quest’anno saranno costretti a nascondere il proprio sorriso di benvenuto con le mascherine, ma è oltremodo necessario che non si spenga: non rispondere causticamente alle emozioni negative, non perdere la pazienza nell’illustrare le misure di sicurezza, non nascondere eventuali procedure che causino disagi, non minimizzare la criticità del periodo ma nemmeno indulgere nell’autocommiserazione. La leggerezza è incoraggiata, l’ironia no.
    In altre parole, è opportuno riuscire a guardare con obiettività ai punti di forza e di debolezza della destinazione/della struttura/del servizio, filtrando le informazioni in base alla loro pratica utilità e in una logica di sincera condivisione.
  3. Cerchiamo di essere ciò che raccontiamo. Attraversando questo tempo sembra chiara a tutti l’importanza di riprendere il filo della narrazione: il contenuto vale più di quanto non siamo stati disposti ad ammettere in precedenza.
    Destinazioni, imprese locali e servizi hanno imparato in poche settimane l’importanza di coinvolgere il pubblico, invitandolo a interagire (virtualmente) e a condividere. Cresce ogni giorno il numero di webinar gratuiti, video in diretta, scuole di cucina online, palestre virtuali di narrazione che invitano i diversi target a guardare fuori dalla finestra per superare l’isolamento sociale e proiettarsi nella vita futura. Tutto molto positivo, a condizione di essere consapevoli che ci aspetta una “nuova normalità” che assomiglierà poco o nulla alle pratiche cui eravamo abituati.
    Raccontare buone azioni e buoni esempi non deve limitarsi ad essere un richiamo di marketing o – nella migliore delle ipotesi – un’espressione di orgoglio campanilistico: ciò che si promette online deve esistere nella realtà, con effettivo e pratico riscontro. Ciò vale in misura particolare per coloro i quali si stanno attrezzando per aumentare il volume delle proprie promesse: ad ogni rialzo corrisponde un aumento dell’aspettativa, che inevitabilmente finirà per confrontarsi con la realtà, spesso a scapito delle percezioni. Non dimenticare: la qualità è sempre un rapporto (scientifico e matematico) tra attese e percezioni!
  4. Per essere attrattivi occorre saper essere coinvolgenti. Per essere coinvolgenti occorre stabilire relazioni positive con la comunità di appartenenza e con tutti coloro i quali sono coinvolti nella filiera dell’erogazione del servizio.
    Mai come oggi, spinti dalla necessità di superare ansie e barriere, vinceranno le destinazioni che sapranno offrire un territorio, un paesaggio o un luogo come l’esito di uno spirito di comunità. Ogni segno, ogni simbolo, ma anche ogni elemento del servizio, prende vita dal sentimento di appartenenza e si proietta oltre i confini aziendali e territoriali con forza tanto maggiore quanto è immerso nella quotidianità del tessuto locale.
    Le destinazioni fanno a gara per nominare nuovi ambassador di tendenza, che hanno rapidamente soppiantato i testimonials, eppure il valore della testimonianza è di gran lunga superiore a quello della rappresentazione, per quanto scenica o celebrata.
    Non è impossibile, visto che il raggio d’azione sarà temporaneamente limitato alla prossimità, che i migliori vettori della comunicazione possano essere gli anziani di paese, i giovani che hanno scelto di rimanere, le persone che amano la cura del territorio, le signore che conservano la tradizione enogastronomica locale… ma anche i maestri di scuola, i volontari delle associazioni e – su tutto – i dipendenti delle strutture ricettive con le loro famiglie.

Concludendo…

La situazione è complicata, incomprensibile e ignota perché senza precedenti. Ciò mina la nostra capacità di progettare, di pianificare, di prevedere e di proiettarci nel futuro anche prossimo. Come si evince dalle premesse, la classe dirigente del Paese stenta a individuare percorsi concreti di rilancio e le rappresentanza degli operatori faticano ad andare oltre le richieste di sussidi.
Purtroppo questo scenario si offre più come alibi per non aderire alle proposte (e alle richieste!) di innovazione che per stimolare reazioni attive: di fatto, stiamo perdendo l’opportunità di investire questo tempo – che ci costringe a rallentare – per fermarci a riflettere su quale turismo vogliamo per il futuro del Bel Paese.

Non rimane che confidare vi possa essere una svolta nel modo in cui comunichiamo le esperienze e, soprattutto, per proseguire più convintamente di prima nel disegnare scenari in cui le comunità dei viaggiatori siano sempre più in sintonia con i luoghi, con i paesaggi culturali e con le comunità locali.
Dovrebbe essere una sfida sufficiente a restituire – se non entusiasmo – almeno motivazione.

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