Povera Italia: prima per patrimonio, centesima in competitività del turismo

La prima edizione del “Travel and Tourism Development Index” (TTDI), redatto e curato dal World Economic Forum dopo la pandemia di Covid-19, mette in luce molte delle criticità e delle contraddizioni del Paese, illustrando i motivi per cui sta diventando sempre più difficile raccogliere i flussi turistici internazionali.

Che l’Italia abbia seri problema con il turismo non è certo una novità. Da prima destinazione turistica del mondo, come è stata per tutto il tempo della storia, è scivolata negli scorsi decenni al 5° posto: con i suoi 65 milioni di arrivi internazionali si trova dietro alla Francia (89 milioni), alla Spagna (84 milioni), agli USA (79 milioni) e alla Cina (66 milioni), con proiezioni nel futuro che già prevedono i prossimi sorpassi in classifica da parte – ad esempio – della Turchia che raccoglie attualmente 45 milioni di visitatori ma si mostra molto più dinamica e competitiva nei mercati.

Così non sorprenderà sapere che nell’ultimo rapporto sul turismo prodotto dal World Economic Forum, il primo dopo la pandemia, l’Italia è il primo Paese al mondo per risorse culturali ma è solo decima nella classifica complessiva.
Il podio è composto da Giappone, Stati Uniti e Spagna. A breve distanza Francia e Germania.
Le aree dove l’Italia patisce di più sono la competitività sui prezzi, dove è al 100esimo posto al mondo, e la pressione della domanda di viaggi, 91esimo. Il capitale artistico e culturale del Bel Paese, quindi, insieme alla qualità della vita, della moda, del design e dell’ospitalità, deve fare i conti con problemi di natura strutturale che gli impediscono di primeggiare.

Sarà anche il Paese più bello del mondo, ma quando si tratta di rapporto fra domanda e offerta, emergono lacci e lacciuoli che non consentono all’Italia di esprimere tutto il suo potenziale.
Ad onore del vero, un miglioramento nella classifica generale c’è stato, perché l’Italia è passata dal 12° posto nel 2019 al 10° nel 2021. Ed è altrettanto vero che il Paese è leader in aree come le risorse naturali (15°) e culturali (1°), le infrastrutture dei servizi turistici (6°) e l’apertura internazionale (12°). Tuttavia, le ombre non mancano…
«Le aree in cui rimane indietro includono la competitività dei prezzi (100°), la pressione e l’impatto sulla domanda di viaggi e turismo (91°) e l’ambiente imprenditoriale (59°)», fa notare il rapporto. Solo il miglioramento di quest’ultima voce (+19,7%, dal 101° al 59°), dice lo studio, «è uno dei motivi principali del miglioramento complessivo della classifica dell’economia del turismo». Troppo poco.

Competitività del turismo in Italia

I consigli del World Economic Forum

Gli esperti del WEF: «Le chiusure dovute al Covid hanno nuovamente enfatizzato l’importante contributo che i viaggi e il turismo danno a molte economie in tutto il mondo», ha affermato Lauren Uppink, Head of Aviation, Travel and Tourism al World Economic Forum: «Mentre il mondo emerge dalla pandemia, le economie devono investire nella costruzione di un ambiente forte e resiliente per fornire l’esperienza e i servizi di viaggio e turismo per molti decenni a venire».

Uppink spiega anche cosa potrebbero fare le istituzioni, la politica e l’universo imprenditoriale: «I leader di governo, delle imprese e della società civile possono affrontare gli ostacoli alla ripresa osservando i diversi fattori che possono supportare lo sviluppo a lungo termine e la resilienza delle rispettive economie dei viaggi e del turismo. Ciò richiederà ai decisori di ripristinare la fiducia dei consumatori e l’apertura internazionale dando la priorità a questioni come le misure di salute e sicurezza rafforzate, incoraggiando pratiche di lavoro inclusive, migliorando la sostenibilità ambientale e investendo nella tecnologia digitale».

Un messaggio rivolto anche all’Italia e a tutti i Paesi che hanno ancora oggi potenziale inespresso. In altre parole, il Covid-19 ha dato la possibilità di effettuare un cambio di paradigma da individuare e sfruttare, secondo il Wef. Esternalità positive da raccogliere. Specie su un settore cruciale come il turismo.

Ruralità, dimensione provinciale e borghigiana, «piccole patrie»

«Il necessario cambio di paradigma richiede una rivoluzione dello sguardo – ha sempre chiosato Federico Massimo Ceschin, presidente SIMTUR – non è sufficiente affermare che abbiamo importanti patrimoni naturali e culturali per generare valore. Occorre investire decisamente nell’integrazione dell’offerta, sulla base di destinazioni turistiche omogenee, da riconoscere e organizzare funzionalmente, in ottica di filiera, a partire dagli elementi fortemente identitari come il paesaggio, la tradizione, gli stili di vita, i costumi e le esperienze di comunità».

E così la prima risposta di SIMTUR alle restrizioni dettate dalla pandemia è stato il lancio del programma nazionale «piccole patrie», definito “di alta valenza turistica” da Enit – Agenzia nazionale del turismo e inserito nella più ampia iniziativa «Repubblica digitale» del Ministero dell’Innovazione tecnologica.

Il programma accompagna i territori – a partire dalle aree interne, dalle zone rurali, dalle montagne alle piccole isole – in un percorso di apprendimento e qualificazione che prevede fasi chiaramente identificate:

  • attivazione di un percorso partecipativo e di rete, per individuare e rimettere al centro il patrimonio diffuso e le esperienze di comunità;
  • attivazione di una piattaforma digitale per il censimento del patrimonio artistico e culturale, integrato con tutte le informazioni rivolte ai visitatori, per rendere fruibile il contesto, effettuare prenotazioni, acquistare esperienze e prodotti e vivere la sensazione di potersi sentire “cittadino temporaneo“;
  • assistenza tecnica di tour operator per la selezione delle eccellenze e delle esperienze che possono ambire a rappresentare l’offerta turistica integrata dell’area, del borgo, del comprensorio e della destinazione (che SIMTUR chiama «piccola patria» per attuare “dal basso” la straordinaria visione di Adriano Olivetti);
  • generazione di un catalogo di proposte di viaggio, soggiorno, esperienza e cambiamento che si inserisce nel programma nazionale e diventa elemento cardine delle attività di promozione e promocommercializzazione.

L’ambizione del progetto è dichiarata: “Ridisegnare le geografie turistiche del Bel Paese” ripartendo dalle comunità, dai borghi, dall’entroterra, da itinerari e percorsi in grado di riconnettere i luoghi, attraverso la natura e l’agricoltura di qualità, i prodotti tipici, le feste popolari, le processioni e gli altri immensi patrimoni immateriali, troppo spesso trascurati e resi fragili.

«Per funzionare – spiega Ceschin – il programma ha necessità di un unico ingrediente fondamentale: le località interessate devono aver maturato il desiderio di non volersi più sentire “minori”. In un’Italia che sa valorizzare solo le spiagge e le città d’arte, per troppo tempo si sono voltate le spalle al Paese vero, autentico, intimo e ricco di storie, di talenti e di competenze naturali. Oggi sono questi i fattori che meglio rispondono alla domanda di viaggio e di esperienza».


Per maggiori informazioni, consulta la sezione dedicata alle «piccole patrie» o, se hai più tempo, visita il sito dedicato.

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