Filiera corta, ambiti locali, prodotti a km 0, agricoltura biologica e biodiversità: queste le parole chiave per introdurre innovativi modelli di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del cibo, visto anche come straordinario ambasciatore delle eccellenze territoriali e come leva fondamentale di sostenibilità.

Come riportato nel secondo comma dell’articolo 13, L. 194/2015, le “comunità del cibo” sono tutti gli ambiti locali derivanti da accordi tra diversi enti (agricoltori, GAS, istituti scolastici, enti di ricerca, enti locali, ecc.) che hanno l’obiettivo comune di studiare produzioni agricole sostenibili attraverso la costituzione di filiere corte, per diffondere nuove pratiche e saperi tradizionali, per aumentare la sicurezza alimentare, per contribuire alla salute pubblica e – non da ultimo – generare opportunità di diversificazione del reddito.
Sono quindi una risposta collettiva all’esigenza dei piccoli produttori agrari di tutelare colture e saperi locali, ma anche di generare circuiti di consumatori consapevoli e responsabili.

Costituire una “Comunità del Cibo significa promuovere processi di rete e di cittadinanza attiva, all’interno dei quali i sottoscrittori della Carta della Comunità si fanno promotori e portavoce dei valori del proprio territorio, della cultura, del sapere e delle tecniche agricole.
Il programma di azione è dunque il risultato di un’azione sinergica tra attività produttive, turistiche ed educative, che si impegnano attivamente nella valorizzazione e preservazione della biodiversità agroalimentare tipica del territorio e di un modello di produzione e consumo sostenibili, a vantaggio dei residenti e dei visitatori.

CHI PUÒ ATTIVARE UNA COMUNITÀ?

Cibo come esperienza di comunità

Cibo come esperienza di comunità

La Legge 194 del 1 dicembre 2015 definisce le caratteristiche di una “comunità” e gli obiettivi che può prefiggersi nel corso della sua attività. Tra questi figurano lo studio e la trasmissione di conoscenze sulle risorse genetiche autoctone, l’avvio di filiere corte, la diffusione di sistemi colturali a basso impatto ambientale, il recupero del sapere agricolo tradizionale anche applicato alla selezione naturale delle sementi e la realizzazione di orti didattici o urbani.

Ma possono nascere dall’accordo tra soggetti di estrazione diversa, accomunati dall’intenzione di svolgere un ruolo attivo nel sistema agricolo o nell’enogastronomia locale: SIMTUR promuove “comunità del cibo e della biodiversità”, che possono essere costituite da aziende agricole, ristoratori, agricoltori e allevatori custodi, artigiani del cibo, gruppi di acquisto solidale, istituzioni, università, centri di ricerca, associazioni per la tutela della biodiversità, esercizi commerciali, scuole, mense scolastiche e ospedali…

BioSlow (ItaliaBio e SIMTUR) hanno sviluppato un protocollo di intesa per avviare e riconoscere comunità del cibo e distretti del cibo, anche – soprattutto – nella forma di “biodistretti” e “comunità del cibo e della biodiversità“.

Aziende agricole, ristoratori, agricoltori e allevatori custodi, artigiani del cibo, gruppi di acquisto solidale, istituzioni, università, centri di ricerca, associazioni per la tutela della biodiversità, esercizi commerciali, scuole, mense scolastiche, ospedali, enti pubblici e territoriali possono richiedere informazioni e anche un modello base di intesa per avviare il percorso di partecipazione e animazione territoriale…

Richiedi un contatto

Richiedi un contatto

    Per essere parte del cambiamento non è necessario essere eroi.

    SIMTUR è un ecosistema nazionale di appassionati e professionisti: persone comuni ma determinate. Unisciti a noi.

    Porta il tuo contributo, condividi le tue idee, attivati e diventa subito protagonista.