Volontariato non è lavoro

Il volontariato è una cosa meravigliosa. E il volontariato che si occupa di Beni Culturali non è da meno. Ma per colpa dei nostri legislatori (e non certo dei volontari), in Italia è diventato un problema enorme.

Piccole storie, grandi problemi

Visite guidate

Roberta (nome di fantasia, come i seguenti) lavorava in una storica biblioteca di Venezia, occupandosi di accoglienza al pubblico e movimentazione. I servizi erano esternalizzati, quindi le rinnovavano il contratto di sei mesi in sei mesi. Ma dopo l’ultimo appalto, vinto al massimo ribasso, la nuova Fondazione subentrata ha deciso di sostituire tutti i lavoratori meno qualificati con i volontari di un’associazione locale, per la maggior parte pensionati o studenti. Ora Roberta è disoccupata.

Francesca dirige una piccola ma rilevante Biblioteca civica in Puglia, e dopo che due degli storici impiegati della Biblioteca sono andati in pensione, avrebbe voluto sostituirli con forze fresche e qualificate. Ma di fronte al blocco del turnover, che impediva al Comune di assumere, aveva due scelte: o chiudere la biblioteca per mancanza di personale o stipulare una convenzione con un’associazione di volontariato, che peraltro trabocca di giovani studenti (e pure alcuni laureati) entusiasti e competenti. E così ha scelto la seconda.

Paolo è l’ultimo erede di una famiglia nobiliare. Anche se vive in città, vuole aprire al pubblico l’antica villa familiare almeno nei fine settimana, perché contiene alcuni pezzi importanti per il ‘700 napoletano, e per, con il prezzo del biglietto, aiutarsi nelle spese di manutenzione. Paolo temeva che l’investimento iniziale sarebbe stato piuttosto alto, per trovare professionisti preparati che si occupassero delle visite e della gestione e promozione del luogo. Ma poi un suo amico gli ha spiegato che avrebbe potuto dare tutto in mano a volontari, pagando al massimo una persona che li seguisse. Così Paolo si è convinto, e ora alla villa sono impiegati 23 volontari e solo uno di loro, bravissimo, che li dirige, è pagato, 4,5 euro l’ora, ovviamente in nero.

Giovanna, educatrice museale, “lavora” con contratti a chiamata per una fondazione ONLUS nei Musei lombardi, fondazione che lascia ai volontari non qualificati ampissimo spazio nella gestione di numerose attività. Viene chiamata a lavoro solo nei giorni di ponti, festivi, ricorrenze e vacanze estive, quando la disponibilità dei volontari, a causa proprio delle festività, diminuisce, o per tappare buchi in caso di imprevisti o postazioni scoperte quando, ad esempio, i volontari si ammalano. Ovviamente non riceve alcun compenso straordinario per il suo lavoro nei festivi.

Potremmo andare avanti a lungo. Questo accade ovunque ogni giorno in Italia. E non è un caso, né un “prodotto del mercato”.

Un sistema legislativo obsoleto e dannoso

Alcune leggi, in particolare la 4/1993 (Legge Ronchey) e l’articolo 112 del Codice dei Beni Culturali del 2004, danno mandato da una parte a tutti i Musei, gli archivi e le biblioteche statali di poter integrare il personale stipulando convenzioni con associazioni di volontariato, e dall’altra sanciscono che le associazioni culturali o di volontariato siano il primo interlocutore di ogni ente pubblico (e non solo) quando si parla di valorizzazione del Patrimonio culturale.

E’ dunque una precisa responsabilità dei nostri legislatori se il volontariato (non certo i volontari) in Italia è diventato un problema enorme.

Volontariato culturale

Un problema enorme. Ecco perché, in quattro semplici punti

  1. abbatte il costo del lavoro. É una regola base del mercato: se c’è qualcuno che può offrire un determinato servizio gratis, gli stipendi di tutti gli operatori che si occupano di servizi uguali o affini ne risentiranno. Finché sarà possibile, legalmente, avere volontari a occuparsi di tutto in Musei, biblioteche, archivi e luoghi culturali in genere, anche chi volontario non è vedrà costantemente abbassate le sue possibilità di guadagno, perché “guarda che ti do 7 euro l’ora solo perché i miei concorrenti fanno lavorare i volontari”.
  2. abbassa la qualità dei servizi. Altra cosa ovvia. Si, magari la biblioteca resta aperta lo stesso, il Museo pure, ma chi lavora gratis ovviamente non può e non deve garantire professionalità. Ciò ha conseguenze evidenti, nella percentuale di Italiani che non hanno mai visitato un Museo nel corso dell’anno corrente (aumentata negli ultimi 15 anni), o non hanno mai letto un libro (idem), con ricadute sociali pesanti. Ma non dimentichiamo le ricadute economiche: in Italia il turismo sì, aumenta, grazie a una congiuntura internazionale favorevole e al terrorismo che ha colpito la Francia e la Tunisia, ma aumenta meno che in altri Paesi, e soprattutto si configura come un turismo mordi e fuggi, poco produttivo economicamente e molto impattante per la vita delle città e dei residenti.
  3. crea lavoro nero: il caso degli “scontrinisti” della Biblioteca Nazionale di Roma, o di Napoli Sotterranea, non sono che la norma. Il volontariato culturale, così pensato e (de)regolamentato, crea lavoro nero ovunque!
    Ci sono migliaia di realtà in Italia che guadagnano usando il lavoro dei “volontari”. Risulti volontario ma in realtà prendi 2-3-400 euro al mese, magari anche qualcosa di più (fino a 400 euro al mese è legale, di più no). Magari sei una persona che parla tre lingue ed è pure laureato in storia dell’arte, ma l’unico modo che hai per lavorare, con questa concorrenza sleale, è fingerti “volontario”.
  4. crea un precedente: il settore culturale è stato usato per istillare nel dibattito pubblico il concetto di lavoro gratuito. “È giovane, può farlo gratis”, “è una cosa occasionale, quindi magari ci mettiamo dei volontari”, “beh per fare una cosa semplice come portare in giro i volantini non c’è niente di male a chiedere a volontari”… e via dicendo.
    Sono cose che si sentono, e sono tutte aberrazioni assurde. Perché un lavoro – anche se semplice – dovrebbe essere svolto gratis? Perché i giovani devono lavorare gratis? Perché il lavoro occasionale diventa un alibi per non retribuire chi si impegna?
    Tutto questo si sta rapidamente diffondendo al di fuori del settore culturale, e sta colpendo anche mansioni e occupazioni che appartengono a ordini professionali. Per questo motivo, eliminare il lavoro gratuito dal settore dovrebbe interessare tutti gli altri professionisti e lavoratori.

Eliminare il lavoro gratuito (terribile ossimoro), non il volontariato

Il riconoscimento professionale (che passa anche, se non soprattutto, per un degno riconoscimento economico) passa di là. Finché ci saranno leggi assurde che deregolamentano il settore e rendono possibile perdere il lavoro per via dei volontari, qualsiasi altro tipo di riforma dei beni culturali risulterà inefficace.

[Contributo pubblicato da “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”]

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