Città da 15 minuti

La pandemia ci ha catapultati in un futuro che non avevamo saputo costruire prima: abbiamo cambiato stili di vita, modificando il modo in cui lavoriamo, studiamo, riceviamo assistenza medica, abitiamo, facciamo acquisti e consumiamo cultura. Da quando la paura del contagio ci ha reso diffidenti nei confronti dei trasporti collettivi urbani, abbiamo ripensato gli spazi favorendo spostamenti autonomi – se possibile a piedi – riducendo gli spostamenti tra zone molto distanti della città e i pendolarismi per lavoro.

La tendenza a concentrarci nelle grandi città ha subito una decisa inversione. Nella vita dopo il Coronavirus si studiano nuovi modelli di suburbanizzazione, e forse proprio l’idea di ‘distanziamento sociale’ ha ispirato quella di ‘distanziamento urbano’. E così mentre le grandi metropoli si svuotano, come a New York, dove i flussi registrati dalle poste fotografano la fuga di trecentomila famiglie, altre città intraprendono progetti in cui la prossimità diventa valore aggiunto e leva per altre innovazioni adatte a implementare le agende politiche legate agli obiettivi dell’Agenda 2030.

Parigi si era cominciato a riflettere già prima della pandemia su un modello alternativo a quello della metropoli novecentesca. L’avevano chiamato ville du quart d’heure, città del quarto d’ora (città da 15 minuti), con spazi abitativi a breve distanza dal lavoro e servizi. Tuttavia non è solo il vecchio continente ad aver scoperto una nuova dimensione dell’abitare, anche dall’altra parte dell’oceano, Melbourne, ha varato il piano twenty minutes neighborhood, impegnandosi a garantire ai cittadini la possibilità di soddisfare la maggior parte dei propri bisogni quotidiani con una passeggiata da casa. E mentre a Copenaghen è nato il quartiere soprannominato five minutes to everythingGenova sta ripianificando secondo un modello che chiama la città dei 2 km.

La possibile svolta? Con il Recovery fund

E non si tratta semplicemente di far convergere la vita in città in uno spazio a misura d’uomo. Si tratta anche di inquinamento. Attualmente le città occupano appena il 2% della superficie terrestre, ma consumano tre quarti delle risorse usate ogni anno e producono nuvole di gas serra, miliardi di tonnellate di rifiuti solidi e fiumi di esalazioni tossiche. Per questo, i nuovi modelli economici non possono svilupparsi senza un ripensamento dello spazio urbano, con scelte urbanistiche che mettano in relazione gli aspetti economici e dell’abitare sociale. Soprattutto considerando che la componente green del Recovery fund italiano è la più consistente: assorbirà 74,3 dei circa 209 miliardi destinati in tutto al nostro Paese.

E se per il Financial Times la pandemia ha dimostrato i limiti e le criticità dei sistemi urbani tradizionali e le città non saranno mai più quelle di prima, in Italia si sta discutendo su un modello di città, a partire dallo sviluppo della mobilità elettrica, dalla rivoluzione digitale e dallo sdoganamento dell’IoT. Siamo immersi negli Iper-Luoghi, sostiene il geografo Michel Lussault, docente all’Ecole Normale Supérieure di Lione e autore del saggio Iper-Luoghi. La nuova geografia della mondializzazione. Iperbole del mondo contemporaneo, luoghi che riproducono tutti gli aspetti e le contraddizioni sociali e ambientali della globalizzazione.

Del resto, la chiusura delle attività, lo smart working, l’assenza di turismo e di eventi, ci hanno fatto scoprire una dimensione diversa dell’abitare, dove sono i cittadini con i propri stili di vita spontanei a costruire le idee alternative di città. Ed è proprio l’integrazione fra i diversi modelli di sostenibilità il tema della ricerca Città dal futuro: un lavoro di analisi e immaginazione sul futuro metropolitano, condotta da Davide Agazzi, Matteo Brambilla e Stefano Daelli.

Città dal futuro

Gli autori immaginando una città a prova di crisi, hanno individuato quattro grandi tendenze che identificano quattro modelli di città:

  • Acropoli, intesa come paradiso terrestre, città esclusiva, stimolante, sofisticata, cosmopolita.
  • Irregolare: terreno abbandonato di sperimentazione e conquista, informale, frastagliata, imprevedibile, decadente.
  • Leggera: città senza legami, connessa, smaterializzata, veloce, rarefatta, funzionale e efficiente.
  • Contrada: città dei quartierini, la provincia in città, vicina, attiva, cordiale, controllata, decorosa, omologante, conservatrice. Queste quattro città rappresentano degli idealtipi, caratterizzati da aspetti positivi e negativi.

Ognuno di noi si può ritrovare in ciascuna di esse, per questo non può esistere un paradigma ideale. Secondo gli autori solo tenendo insieme queste quattro direttrici si può costruire una città “desiderabile”, perché la rinascita delle città può passare solo dal raggiungimento dell’equilibrio tra una dimensione individuale e una dimensione collettiva. La crisi legata al Covid, l’accelerazione tecnologica, i servizi home alone (e-commerce, food delivery) hanno messo in moto un processo dal basso che riconfigura abitudini, bisogni e risposte, con evidenti conseguenze economiche e con la necessità di trovare un nuovo modo di rispondere all’esigenza di contatti sociali e aggregazione.

[ Contributo di Francesca Santolini per Repubblica ]

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