Simone Bozzato

Pubblicato da ExOrma Edizioni, il volume “Del viaggio lento e della mobilità sostenibile” è un vero e proprio “libro bianco” degli Itinerari: un manuale a disposizione di chi – ente o associazione – intende realizzare un itinerario di mobilità lenta come veicolo per restituire al viaggio la sua dimensione più autentica, favorendo lo sviluppo di un turismo sostenibile, in sintonia con i luoghi e con le comunità locali.
Per saperne di più, abbiamo chiesto un contributo al prof. Simone Bozzato, geografo, docente dell’Università Tor Vergata, che ha redatto il volume insieme agli autori Gaia Ferrara e Federico Massimo Ceschin.

D: Un “libro bianco” degli itinerari che parte da lontano. Storia, antropologia, sociologia, letteratura e molta geografia. Perché?

Se lungo l’arco dell’evoluzione, per due milioni di anni l’uomo si è concentrato nello sviluppo del cervello e delle capacità cognitive, va ricordato che prima – per quattro milioni di anni – si è concentrato sui piedi. L’intero processo evolutivo, attraverso le sue fasi e attraverso le specie, è caratterizzato dal nomadismo. L’uomo, dunque, è migrante per definizione.
Il passaggio da migrazione spontanea a “viandanza” avviene in tempi davvero molto più recenti, anche se pur sempre all’alba dei tempi, nel passaggio dalle prime comunità di sussistenza alle società agricole e pastorali: furono queste ad avvertire la necessità di disegnare mappe di orientamento, la più antica delle quali, esaminata al radiocarbonio, riporta una datazione determinabile intorno al 6200 a.C. È infatti da ritenersi che il primato spetti a speciali categorie di viaggiatori, mossi verso terre lontane dal desiderio di esplorazione e di trarre profitto dalla circolazione dei beni: per lungo tempo le vie furono tracciate da mercanti di spezie, di seta, di sale, d’oro, di perle e di armi. Seguiti, inevitabilmente, da corrieri e soldati, mendicanti e avventurieri, cavalieri e – naturalmente – pellegrini. Come nella Grecia classica, dov’erano innumerevoli i luoghi sacri meta di pellegrinaggi, tra cui il più famoso era Delfi, dove si giungeva seguendo un itinerario prescritto dettagliatamente per ricevere i responsi della Pizia (tra le prime mappe al mondo c’è senza dubbio quella di Anassimandro di Mileto, 610 – 546 a.C., filosofo greco discepolo di Talete).
Del I secolo d.C. sono invece i “Bicchieri di Vicarello”, quattro vasetti d’argento, vera meraviglia per gli occhi, che avevano una doppia funzione: potevano essere adoperati per bere durante il tragitto e come mappa per guidare il viaggiatore nel percorso. Sui bicchieri, alti da 95 a 115 mm, sono incise in quattro colonne le 104 stazioni intermedie (mansio) che il viaggiatore avrebbe incontrato fra Gades (Cadice) e Roma (Itinerarium gaditanum), con le relative distanze dalla tappa seguente, per un totale di 1.840 miglia romane (2.732 km), attraverso strade celebri come la via Flaminia, la via Augusta, la via Heraclea, la via Domizia e il mitico “Camino de Anibal”, che percorse Annibale con i suoi elefanti attraversando le Alpi alla volta di Roma: una sorta di “navigatore satellitare portatile” ante litteram, semplice ma pratico ed efficace, oggi conservato a Roma, nella sede di Palazzo Massimo, Museo Nazionale Romano.
Non può dunque meravigliare la scelta di Palazzo Massimo per l’organizzazione di “All Routes lead to Rome”, il Meeting annuale degli Itinerari, delle Rotte, dei Cammini e delle Ciclovie: la ricerca di senso e di significato delle antiche vie, pur nella chiave contemporanea del turismo lento e sostenibile, non può che ripartire da un viaggio nella storia. E riportarci dunque nella Roma imperiale, quando le strade extraurbane erano indicate con il termine di vie (viae in latino), derivazione della radice indoeuropea wegh– con il suffisso –ya, che significa “andare”, ma che poteva esprimere anche il senso di “trasportare”.
Al momento di massima espansione, la rete viaria romana misurava quasi 100.000 chilometri, ripartiti fra 29 strade che si irradiavano da Roma verso l’Italia e tutti i territori dell’Impero, dalla Britannia alla Mesopotamia, dalle Colonne d’Ercole al Mar Caspio, tutte dotate di pietre miliari che indicavano la distanza in miglia dalla colonna marmorea rivestita in bronzo che rappresentava il punto di partenza: il milliarium aureum, eretto nel 20 a.C. da Augusto in qualità di curator viarum e situato nel Foro romano, tra i Rostri e il Tempio di Saturno.

Nel mondo globalizzato di oggi, ha ancora senso ritenere che “tutti gli itinerari portino a Roma”?

Crediamo di sì. Crediamo che Roma non sia soltanto il centro della cristianità e, con le sue strade consolari, una testimonianza. È piuttosto un modello di ciò che il nostro Paese dovrebbe ancora essere: un crocevia di culture, cerniera tra l’Europa e il Mediterraneo, capace di riconoscere alla bellezza un ruolo cardine dello sviluppo e un motivo di posizionamento inimitabile.
E crediamo che lo sviluppo di Itinerari sia un contributo fondamentale per restituire al viaggio una dimensione culturale e sostenibile, rispettosa dell’ambiente e delle comunità locali.
Con maggiore lentezza, è possibile veicolare maggiore qualità. Non soltanto qualità del turismo, che già da sola giustificherebbe una maggiore attenzione per l’argomento, ma una migliore qualità della vita per i residenti, una migliore qualità urbana, una più attenta cura del paesaggio, una migliore relazione tra città e spazi rurali, un più equilibrato rapporto tra grandi centri che sono in grado di attrarre milioni di visitatori e aree interne, che invece soffrono lo spopolamento.

D: Quale risultato è atteso dagli Itinerari realizzati secondo le modalità operative di questo “libro bianco”?

Con questo studio, attraverso le attività di ricerca, non abbiamo soltanto tentato di restituire un “libro bianco” che contenesse “linee guida” operative, ma di operare nella direzione di restituire consapevolezza e seminare i presupposti di un grande progetto culturale ed educativo, ripartendo dall’approccio di Michel de Montaigne, il teorico della pratica del viaggiare, da cui deriva il ruolo irrinunciabile del viaggio nell’educazione, per la comprensione e l’assimilazione delle varietà che ci circondano. Nel capitolo XXVI del libro “Dell’educazione dei fanciulli” scriveva: “Viaggiare mi sembra un esercizio giovevole. L’anima vi si esercita continuamente, notando cose sconosciute e nuove; e non conosco scuola migliore per la formazione della vita, che presentarle continuamente la diversità di tante altre vite, opinioni e usanze, e farle assaggiare una così continua varietà di forme della nostra natura”.
Il ruolo degli Itinerari, soprattutto dei Cammini e delle Ciclovie, appare perfettamente illustrato da un altro passaggio fondamentale della letteratura di Montaigne, contenuto nel capitolo “Della vanità”: “Non comincio un viaggio né per tornare, né per portarlo a termine; mi propongo solo di muovermi, finché il movimento mi piace. E passeggio per passeggiare. Quelli che corrono dietro ad un beneficio o a una lepre non corrono, corrono quelli che corrono alla barriera, per esercitarsi nella corsa”.
Nella sua opera principale, “I Saggi”, il viaggiare è descritto come una pratica che consente di apprendere “il vero volto della realtà”, poiché lo spostamento in un contesto differente da quello abituale, rappresentando un’interruzione dell’azione dell’abitudine, ci costringe a confrontarci con il nuovo, con l’inusitato, che però dobbiamo riconoscere consueto e noto per altri, introducendo per la prima volta due grandi temi che troveranno sempre maggiore spazio in futuro: la globalizzazione e la salvaguardia delle biodiversità.
Oggi come allora, occuparsi di Itinerari significa riuscire – attraverso un approccio multidisciplinare – a immaginare il turismo come uno spostamento di flussi di persone, ma anche come una libera circolazione di beni, di saperi, di tecniche, di esercizi intellettuali e spirituali, di mode e di tendenze. Significa analizzare tale varietà di movimenti in base alle motivazioni che hanno sostenuto l’esigenza di spostamento, per garantire la loro soddisfazione. Significa determinare i fattori infrastrutturali del viaggio e delle modalità con cui assicurare un’accoglienza adeguata al primato dei nostri standard di qualità della vita. Proseguendo nella direzione di cogliere gli impatti economici, sociali e culturali di tale massa eterogenea in movimento, magari cogliendo l’opportunità delle ricadute positive che la diffusione delle idee può portare sui territori ampi e plurali di questo nostro Bel Paese.
In altre e più concise parole, gli Itinerari, le Rotte, i Cammini e le Ciclovie che attraversano tutte le Regioni d’Italia, indipendentemente dalla loro dimensione, rappresentano:

  1. straordinarie vie di bellezza;
  2. le matrici di una dimensione culturale (e politica) euromediterranea;
  3. affermati brand internazionali;
  4. occasioni di tessitura e coordinamento tra i territori e i campanili;
  5. fili che uniscono le infinite perle rappresentate dai principali attrattori culturali del Paese, ma attraversano anche i territori interni, le aree protette, i patrimoni “minori”, includendo felicemente quelli ecclesiastici, diocesani e capitolari (mai sufficientemente valorizzati eppure fortemente distintivi);
  6. una modalità per tessere una trama appassionante e suscitare nuovi motivi di attrazione turistica attraverso l’immensa dotazione di patrimoni immateriali custoditi dalle comunità locali;
  7. una coreografia naturale e una sceneggiatura unitaria per raccontare storie, leggende e tradizioni (e riportarle in vita attraverso eventi di rievocazione storica);
  8. una narrazione unitaria e coinvolgente;
  9. un prodotto turistico fortemente emozionale, immersivo, ricco di esperienze, perfettamente in grado di rispondere alle nuove domande dei mercati;
  10. un sistema che fa leva sulla mobilità dolce e sull’attraversamento lento dei territori, unico in grado di consentire la percezione delle effettive eccellenze del Paese (sulla scorta del “Grand Tour“);
  11. un prototipo di governance multilivello (che unisce le istituzioni europee al governo nazionale, alle regioni, alle autonomie locali, alle imprese culturali e creative fino al mondo della cooperazione e del terzo settore, delle associazioni e del no profit);
  12. un insieme di buone prassi che possono farsi modello di sviluppo locale e insieme globale, sostenibile, partecipato, diffuso e durevole.

D: Nel nostro Paese, rimane sempre molto da fare…

Per l’infrastrutturazione di queste importanti arterie, le migliori prassi ci insegnano come non sia del tutto necessario ragionare attorno a percorsi internazionali o grandi vie già molto celebrate: definita una distanza minima in funzione del tempo da trascorrere camminando o pedalando, è maggiormente profittevole per i territori un itinerario messo in sicurezza, ben segnalato e ricco di relazioni con le comunità locali, chiamate alla responsabilità di essere “comunità ospitali”, ma anche al beneficio dello scambio e della mutualità, in un’ottica di “economia conviviale”, verso una vera e propria “economia della bellezza”.
Per l’insieme di queste considerazioni, stimiamo che la dimensione di “area vasta”, intercomunale o provinciale per come l’abbiamo conosciuta, sia l’ambito amministrativo ideale a garantire non soltanto una corretta identificazione dei percorsi, ma una efficace manutenzione e – soprattutto – un pieno coinvolgimento dei portatori di interesse locale. Da questo punto di vista, le migliori prassi indicano un ruolo fondamentale di enti “intermedi” quali le Aree protette, i GAL e i Parchi Culturali Ecclesiali, capaci di garantire uno sguardo che va oltre l’ombra del campanile, di comprendere a pieno il valore del paesaggio, di stabilire relazioni tra centri abitati e dimensione rurale, di animare i percorsi restituendo protagonismo alle dimensioni finora ritenute “minori” o addirittura “infruttifere” del patrimonio e della società civile.
Se saremo riusciti a garantire un primo contributo in questa direzione, anche soltanto modesto, riassumendo efficacemente 3 anni di incontri, di seminari, di ricerche, di confronti, di scambi, di relazioni e di connessioni avviate nel contesto della Board Nazionale degli Itinerari, avremo non soltanto restituito un doveroso riconoscimento a quanti vi hanno operato con generosità, ma avremo piantato un altro piccolo germoglio di futuro.

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